giovedì, novembre 16, 2006

Sul treno



Saranno due ore di viaggio. Atomo si è appuntato nella mente la durata del trasferimento in ferrovia. Questo, prima della partenza, come è ovvio. Si è preparato a dovere, portandosi il libro da casa. Se fosse arrivato con qualche minuto in più d'anticipo, avrebbe acquistato anche il giornale in stazione. Ce ne sono di edicole alla Centrale. Ha evitato di fermarsi per non perdere tempo. Non si sa mai. Basta una distrazione per perdere un treno.
Un giorno andò a Lugano. Fece una commissione, tornò in stazione nel tardo pomeriggio. Per la fretta prese il treno in corsa. L'uomo in divisa a gesticolare, come nei film, che doveva partire, quel treno. In sferruzzare di fischi, e palmi di mano aperte. E partì, infatti. Ma dalla parte sbagliata, per le intenzioni di Atomo.
Andò, andò. Verso la Svizzera inoltrata, paura; forse la carrozza sarebbe andata fino in Germania. Da Milano a Torino è più semplice. Se il treno è di quelli lenti, al massimo il viaggio dura un paio d'ore. Si capisce al volo se si è sbagliato la direzione.

Atomo sonnecchia. Guarda fuori dal finestrino e vede il lago di Lugano. Ma no, si ricorda della gente che s'affrettava, era Milano, Milano. Un budello di stazione. Gente che va, gente che viene; come, un tempo, nei grandi alberghi. Non si sa dove l'ha letta questa frase, ma funziona.

Gli vien già da sonnecchiare e il treno è partito da poco. Il libro lo ha abbandonato, vicino alle gambe. Lo sta tenendo stretto, se avesse i polmoni morirebbe soffocato. Le palpebre si abbassano e il torpore lo rapisce, se lo porta via, lento, lento, ma inesorabile. E' dolce, questo sonno. Implacabile, va contro la sua volontà.

Dopo mezz'ora, forse solo quindici minuti, lui non controlla, riprende a leggere. Lentamente. Pare a lui di leggere:"Spada di sole, s'infila tra le cose della vita, fra i muri, in mezzo alle case".

Sono le otto del mattino, di un mattino d'inverno con quella luce che non ha nulla da dire. E' un sole che non scalda ma sembra orgoglioso di esistere. Vibrante, a suo modo lo è. Come una lama, quindi,trafigge l'asfalto dei marciapiedi e s'infila tra gli interstizi lasciati liberi dalle case, si apre fra gli ampi spazi lasciati dagli edifici, le case slanciate con ambizioni, quasi, di grattacieli. E il raggio vien su dal basso orizzonte. E' un dardo, una saetta, talvolta.

E' l'ora in cui Atomo ha vaga percezione d'esistere, eppure assapora la vita che irrompe. E' una frazione di tempo, difficile da misurare; ci vorrebbe una strumentazione raffinata. Occorrebbe possedere una macchina frutto del lavoro di scienziati per acchiappare l'istante. Solo un super esperto di nanotecnologie ce la potrebbe fare.

Un barbaglio di luce trafigge il mento di Atomo, questo spesso succede al mattino. Talvolta, non è barbaglio che offusca la vista, ma splendore pieno di luce. E' un attimo. Non è il milanese tran, tran, - tram tram - quello del treno. E' un cullare sì, brusco e dolce, unatenerezza di viaggio che ti ributta sulla branda legno, branda branda, legno legno. Atomo, svegliati? Devi leggere. Devi finire quella pagina. Sonnecchia, invece, e gli viene un'immagine come di sogno: lui è sulla slitta che sembra il dottor Zivago. Forse è a Cracovia e sta per raggiungere una Lara.
(continua)

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