lunedì, ottobre 30, 2006

Caccia all'EDITORE 4. Blogodramma a puntate

DUE O TRE COSE CHE AVVENGONO IN COPISTERIA

Ho scritto il libro utilizzando sia la penna bic, sia il computer. Gran parte della scrittura è avvenuta direttamente a computer ma, talvolta, ho ricorso anche al classico quadernetto. Ciò che scrivo con la penna, ho una predilezione per la bic blu punta morbida, poi riporto a computer. Scrivo sia in un modo, sia nell'altro, solo per ragioni pratiche. Utilizzo la biro, quando sono via da casa, in vacanza e non ho con me il computer. Ciò che si imprime sulla carta è spesso solo un appunto, un semi lavorato, mai la forma definitiva del lavoro; questo perché ho una pessima calligrafia e quando mi rileggo fatico a capire tutto ciò che ho scritto. Da una parte è un vantaggio; mi permette, tutto ciò, di migliorare, ampliare e dilatare ciò che mi è venuto in mente in prima battuta. Per certi passaggi, particolarmente"pensati", concettuosi o difficili, vale la pena ricorrere alla biro.

Il computer tende a sveltire. E' ottimo per i dialoghi, le frasi sincopate.
Bene, riportato tutto a Pc, nella sua memoria, arriva il momento di stampare su carta. A casa possiedo un personal computer e un portatile male in arnese che ormai non uso più. Non ho la stampante e non mi collego ad internet. Quasi fuori dal mondo, insomma. Non chiedetemi ragioni di questo comportamento, perché riceverete solo risposte contradditorie. Per stampare il mio malloppo, quindi, ho cercato una di quelle copisterie dove fanno fotocopie e stampano pubblicazioni varie a uso ufficio o per gli studenti universitari. In una città come Milano, se ne trovano in grande quantità. E così, sfruttando il tempo dell'intervallo dal lavoro, vado in una di queste copisterie, che si trova poco lontano dall'ufficio.
Andare: in prima stesura ho scritto "mi piombo", per dire che il sentimento che provi assomiglia alla smania, già, di vedere la pubblicazione del lavoro. Quindi ti precipiti, una volta che finalmente consideri chiuso il lavoro di scrittura e rifinitura del testo, in un posto che ti permette di stamparlo.
Nella copisteria che frequento ci lavorano due persone, due uomini. Uno è alto e allampanato, con gli occhiali, penso sui 45 anni di età, che ha ancora nostalgia del mondo hippy, per come si veste. L'altro è tarchiato, nero di capelli, direi che potrebbe avere genitori e parenti napoletani. Ha lo sguardo un poco furbo, ti guarda di nascosto e ascolta le tue parole mentre parli con il collega.

Gli consegno la chiavetta, dentro c'è il file del romanzo assieme a cartelle ed altri files che appartengono ad altri lavori e documenti. Ma il libro è quello lì. A complicare la vita nella stessa chiavetta, ci sono anche un paio di versioni precedenti del romanzo. Facile confondersi e stampare il testo sbagliato. Così mi devo avvicinare al computer del napoletano e rintracciare il file giusto, quello che mi interessa. Non gli dico che cosa è, anche se vorrei spiegargli che ci tengo molto e che un giorno - spero presto, per dio - potrebbe essere pubblicato da un editore.

Sì, è un romanzo. Un romanzo. Intuisco che i due lavoranti stampano di tutto e se gli dicessi il tipo scritto attorno al quale stanno trafficando, non ne riceverei in tutta risposta una particolare reazione. Quindi, preferisco tacere e farli lavorare. Un lavoro che che mi costa qualcosa come 5 euro a copia. Ne faccio fare un po', due o tre alla volta. Ci ritorno tre volte. Un discreto investimento. La parte creativa dei due, consiste essenzialmente nel propormi il tipo di rilegatura del fascicolo. Il più alto mi propone una fascetta a caldo che avvolge il dorso del volume. Posso scegliere il colore della fascetta. A seconda della casa editrice o del lettore al quale mando il manoscritto, decido per un colore. Opto per la fascetta rossa e per quella verde. Ma per una copia dello scritto scelgo il giallo, che è in tono con il titolo. Questa dovrebbe essere la mia copia personale. Poi vi racconterò che anch'essa, in realtà, andrà a finire da un editore. Un editore grande, strutturato. Speriamo che il giallo porti bene.

Ma torniano in copisteria, dai due. Un giorno capito in serata, mancano cinque minuti alla chiusura. Ho fretta di una copia. Il "napoletano" mostra tutta la sua umanità. Si toglie la giacca, e si rimette al lavoro. Mi prende la chiavetta e la infila nel computer. Poi deve andare in bagno, mi dice diaspettarlo in negozio, lui va nel bar vicino. Io son soloin copisteria, arriva un americano. Mi chiede se il negozio è aperto, farfuglio qualcosa in inglese ma mi faccio capire. Adesso siamo in due davanti al negozio. Poi arriva anche una ragazza. Adesso siamo in tre. Il napoletano arriva, gli sono riconoscente, vorrei baciarlo sulla fronte e raccontargli - ho una voglia matta didirglielo - che sta collaborando a far uscire un romanzo. Mi trattengo. Aspetto con calma la stampa del manoscritto.

Mi dice, come al solito, di aspettare dieci minuti prima di sfogliare, di aprire le pagine perché deve far presa la fascetta a caldo. Infilo il tomo in una busta bianca e lo metto dentrola mia borsa che uso per andare in ufficio. Domani andrò in posta e lo invierò all'editore con una raccomandata con ricevuta di ritorno.
Continua