venerdì, dicembre 08, 2006

I diavoli di Ginettaccio

E' uscito il libro "Gino Bartali". Mille diavoli in corpo (Giunti). L'autore di questo lavoro si chiama Paolo Alberati, 33 anni, ed è stato un corridore professionista. Dal 1995 al 2000 ha corso il Giro d'Italia.

Il volume racconta una delle tappe più straordinarie di Ginettaccio, ovvero la Firenze-Assisi e ritorno che tra l'ottobre del 1943 e il giugno del 1944 corse almeno una quarantina di volte per trasportare, nascosti nella canna della bici, documenti falsi per salvare gli ebrei perseguitati nel nostro paese.

Su Avvenire di mercoledì 6 dicembre, una recensione completa.

lunedì, dicembre 04, 2006

Tre Cime di Lavaredo, nasce il Cannibale


Sabato è stato presentato il tracciato del prossimo Giro d'Italia che si correrà dal 12 maggio al 3 giugno. Rispetto alle edizioni del passato, ci saranno tappe più corte e salite alternate alle crono.

Fra le salite che fanno paura è stato inserito lo Zoncolan e dopo 18 anni tornano le tre Cime di Lavaredo, un'ascesa storica testimone di episodi importanti. Per la prima volta il Giro qui arrivò nel 1967, primo Gimondi e secondo un Merckx al debutto. La salita fu falsata dalle spinte. L'anno successivo vinse il corridore belga.

La sua fu un'impresa, c'era vento, freddo e una bufera di neve. Merckx pensò tutto il giorno ad attaccare, e Adorni, che correva nella stessa squadra, lo tenne a freno. Non fu un'impresa facile. A 12 chilometri dal traguardoil Cannibale partì, Adorni era dietro nella sua scia ma come lui stesso ammise "Tirava che sembrava una moto". Gimondi, dietro, non ce la faceva. A tre chilometri dal traguardo, il belga lasciò anche Adorni e riprese uno dopo l'altro i dodici fuggitivi che si erano prima involati. Merckx vinse con una quarantina di secondi su Polidori, e stacco di quasi 6 minuti Ocana, e a 6 minuti e 19 secondi arrivò Gimondi.
Da quell'impresa, sulle Tre Cime, nacque il Cannibale, quello che noi conosciamo.
Ecco un brano dell'intervista che Vittorio Adorni mi ha rilasciato nel 2003 a proposito di questo episodio importante della storia del ciclismo e che il lettore può trovare integralmentenel testo "E non chiamatemi (più) Cannibale. Vita e imprese di Eddy Merckx. Limina Editore.

"Tirava che sembrava una moto"

Intervista a Vittorio Adorni
Eddy Merckx si rivelò come grande campione nella tappa delle Tre Cime di Lavaredo, al Giro d'Italia del 1968. Che cosa si ricorda di quel giorno?
Eravamo nella stessa squadra, la Faema. Fu una frazione dura e difficile. Quando correvamo noi, nella nostra "epoca", le Tre Cime era considerata una delle salite più difficili del Giro.
Nei primi chilometri, partì subito una fuga con alcuni corridori che riuscirono ad accumulare fino a dieci minuti di vantaggio sul resto del gruppo. Fra i fuggitivi c'erano Bitossi e Polidori. Merckx era molto nervoso, voleva andare a prenderli. Ad un certo punto iniziò a tirare la squadra di Gimondi, la Salvarani, con l'intenzione di recuperare qualche minuto di svantaggio. Dopo aver fatto il Passo di Sant'Osvaldo, poi la discesa di Longarone, misi davanti Van Der Bosch, corridore che andava molto forte in salita. In effetti impostò una andatura sostenuta mettendo così in fila indiana tutto il gruppo.
Arrivati ai piedi del Tre croci, Merckx mi guardò, allora gli feci cenno di attaccare e lui iniziò a scattare. Gimondi ha resistito un poco, poi si è staccato. Io rimasi prima sulla ruota di Gimondi, successivamente lo lasciai e andai a prendere Merckx all'inizio del Tre Croci. Merckx tirava che sembrava una moto. Ho pedalato con lui per tre chilometri, poi gli dissi di andare. Eddy raggiunse tutti gli avversari che si trovavano in fuga. Vinse la tappa, secondo
arrivò Polidori, terzo io.
Che cosa pensò all'indomani di questa straordinaria affermazione?
Non aveva ancora vinto una grande corsa a tappe. In quell'anno si affermò nel Giro di Sardegna e in quella occasione gli dissi che se avesse fatto come gli avrei suggerito, avrebbe vinto anche il Giro d'Italia. Nel periodo delle corse dormivamo nella stessa camera, mi accorgevo che Eddy era un gran corridore, capace di recuperare subito dalle fatiche. E poi lui correva sempre all'attacco. Pensava di fare la grande impresa sulle Dolomiti, ma correva come se ogni tappa fosse l'ultima della sua carriera. Durante tutto quel Giro, gli dissi di star calmo perché la corsa si sarebbe risolta sulle Tre Cime di Lavaredo. E così avvenne (...) La tappa delle Tre Cime di Lavaredo è stata la vittoria più importante,
quella più bella. Per un corridore belga, vincere sulle Dolomiti rappresentava il massimo".

(Angelo De Lorenzi)