lunedì, ottobre 15, 2007

Vito Taccone, la rabbia e la classe

Il cuore di Vito Taccone non ha retto l'emozione. Di tante polemiche, di tante salite, di tante discussioni e forse di un epilogo umano che non si meritava sino in fondo. Oppure, semplicemente, se n'è andato perché così doveva essere. L'uomo che ravvivava il siparietto nobile del Processo alla Tappa di Sergio Zavoli, ci ha fatto ciao ciao ed è salito verticale, su nel cielo, rabbioso, ce lo immaginiamo, come quando pedalava sulla tremenda erta del Muro di Sormano. Proprio nel 1961 vinse il Giro di Lombardia che percorreva quell'anno il durissimo Muro di Sormano. Un feeling con la verticalità da camoscio che non avrà certo smarrito, nemmeno oggi.

Come dice Wikipedia, Venne soprannominato "il camoscio d'Abruzzo" non solo per le sue qualità di scalatore, ma anche per il suo carattere irruente. Di lui si ricordano tanti litigi, come quando nel Tour de France del 1964 venne accusato di aver causato diverse cadute negli arrivi in volata per i suoi scatti scomposti; la tensione con gli altri atleti culminò in una scazzottata con il corridore spagnolo Fernando Manzaneque. Forse, però, si dimenticano i meriti agonistici, il suo valore di corridore, la sua tempra di scalatore di razza.