domenica, febbraio 22, 2009

Cannavò, per tutti maestro di giornalismo


Quando se ne va (e si spera su una nuvola più bella e leggera di questa terra) una persona come Candido Cannavò si rimane un po' storditi.
Perché Cannavò è stato un personaggio carismatico, fino all'ultimo giorno, fino all'ultima discesa in mensa assieme ai suoi ragazzi della Gazzetta. Direttore di un giornale comela Gazzetta dello Sport si rimane per sempre, anche da pensionato, anche sul letto di morte. Appunto.

E non è retorica. E' proprio così. Cannavò non giocava a fare la caricatura di se stesso. Io credo che fosse proprio così, come appariva e combatteva nei suoi articoli, nelle sue polemiche. Misurato, equilibrato, quandooccorreva ma anche deciso e duro, tagliente quando serviva.

on è mai stato il mio direttore. Non ho mai scritto una riga per la Gazzetta. Eppure, l'unico giorno in cui lo incontrai me lo ricordo bene. Stava dispensando consigli ai suoi ragazzi. Forse stava criticando un pezzo. Forse ammoniva l'autore, forse criticava la linea di un suo caposervizio. Forse, forse...

Sta di fatto che la sua bonarietà nella critica faceva emergere la pasta dell'uomo: ovvero la passione con la quale esercitava il mestiere. Quella "lezione" di giornalismo valeva anche per me che non ho mai avuto la fortuna di lavorare per il suo giornale. 

Ecco, c'è di buono in questo mestiere, che si può imparare soprattutto dai colleghi e dai maestri che stanno al di fuori del tuo giornale. E tu sei quello che sei perché magari hai rubato un pezzetto di mestiere da quello o da quello. Da Cannavò e da Montanelli, per esempio. Per questo motivo come sono andato in processione a rendere il mio omaggio davanti al corpo del direttore de Il Giornale, non mi dispiacerebbe aggregarmi agli intimi, ai colleghi e agli amici di Candidò per salutarlo un'ultima volta e rendergli omaggio.

Il lavoro di giornalista e questo ce lo ha insegnato Cannavò, non è come quello del bancario. Fare il giornalista è come lo faceva Cannavò. Vicino ai campioni, dolente con Pantani, intristito e angosciato per la brutta piega che aveva preso il ciclismo. Fare il giornalista, perlo più sportivo, richiede passione e tenacia, dedizione da prete, capacità di alzarsi in mezzo alla notte per rifare un pezzo. Voglia di mischiarsi alla canfora degli atleti, stare su un'ammiraglia oppure solo seguire per ore il collegamento televisivo ad una tappa del giro d'Italia.
Cannavò ha amato molto il ciclismo. Ha voluto molto bene a Pantani. Ha concluso la sua carriera professionale (bellissima, arrivava da Catania, aveva praticato atletica e aveva lasciato da parte i suoi studi di medicina, mi pare) scrivendo di "pretacci", occupandosi di progetti di solidarietà. E mi sembra una cosa bella e nobile che abbia fatto tutto questo.

Io spero che domani a Verdelli venga in mente di fare un giornale come se lo avesse partorito direttamente Cannavò,con tanta passione dentro, nelle colonne, sopra e sotto le righe. Nei titoli, nelle didascalie e con grandi immagini. E che ci mettesse anche le foto dei suoi amati ciclisti.